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  • Mattia Faramia

Core Training o non Core Training? - Prima parte


Scritto vincitore del concorso riservato ad esperti dell'esercizio fisico per "La settimana Europea per lo sport 2019"

Estratto della tesi di laurea “Di Core in Peggio".... “Mens Sana in Core Sano” di Mattia Faramia

Ad oggi manca una definizione unanime di core da parte della comunità scientifica, in passato è stato descritto come un “box cilindrico” composto dai muscoli addominali anteriormente, glutei e paraspinali posteriormente, diaframma come tetto e pavimento pelvico come base (Akuthota e Nadler, 2004), seguito da altre definizioni simili o persino discordanti di altri autori: in questo lavoro è mia intenzione andare a sperimentare personalmente quanto lo sviluppo di una adeguata core stability (endurance per alcuni) sia funzionale per tutte quelle persone che semplicemente vogliono “star bene” e che affollano le sale dei centri fitness alla ricerca della migliore versione di loro stessi, non solo dal punto di vista estetico e per fare ciò mi avvarrò di una batteria di test riconosciuta a livello internazionale e denominata McGill Torso Muscular Endurance Test proposta ad individui asintomatici in ottica preventiva ma anche su coloro affetti da sporadici episodi di aspecific and cronic low back pain al fine di valutare i miglioramenti della resistenza isometrica dei muscoli stabilizzatori profondi ottenuta in 6 settimane di training (pianificate sulla base delle più recenti evidenze bibliografiche) la cui funzionalità è direttamente connessa ad un rachide lombare stabilizzato nei principali gesti motori: infatti la capacità di mantenere un’adeguata stabilità ed un efficiente controllo neuromuscolare della colonna vertebrale sono dati da un'attivazione sinergica e coordinata di questi muscoli che hanno un ruolo preponderante nella prevenzione e persino nel trattamento di alcune disabilità muscolo-scheletriche (come il dolore alla schiena nella zona lombare) ma anche nel miglioramento della performance sportiva essendone alla base. In sintesi “Proximal stability for distal mobility” sarà lo slogan su cui si baserà il presente progetto di tesi.

MODELLO DI PANJABI

Limitarsi a considerare solo la componente muscolare sarebbe limitante dato che il sistema è costituito anche da elementi passivi quali la colonna vertebrale con le sue vertebre e legamenti senza dimenticarci il ruolo cardine ricoperto dal sistema nervoso centrale, il “direttore d'orchestra” dell'intero sistema: a riguardo èemblematico l'ormai celebre modello di Panjabi (1992) in cui l'autore definisce l’instabilità come l'incapacità o la perdita dell'abilità nel mantenere il rachide stabile sotto carico naturale oppure esterno, escludendo deficit neurologici, gravi disabilità e dolore invalidante; stando a questo sistema la stabilità della colonna è garantita da tre sottosistemi (Figura 1):

  • Neural Control, il sistema nervoso centrale

  • Spinal column, la colonna con le relative vertebre e legamentI

  • Spinal Muscles, i muscoli stabilizzanti la componente passiva

Figura 1: Modello di stabilità spinale (tratto da Panjabi, 1992)

Un'eventuale instabilità spinale, da cui dolore alla bassa schiena, salvo diagnosi medica differente, può esser dovuta ad un alterato controllo del sistema nervoso centrale con conseguente ritardata attivazione dei muscoli che stabilizzano il rachide, dacché gli elementi passivi quali vertebre e legamenti si ritrovano a dover assorbire forze compressive e di taglio per essi eccessive senza un sostegno muscolare adeguato.

Sono significativi gli studi effettuati da Hodgson e Richardson (Figura 2) su persone affette da mal di schiena aspecifico: tramite elettromiografia sui muscoli del tronco come trasverso, obliquo interno e multifido lombare, si è rilevato che inducendo una perturbazione esterna come una semplice flessione dell'omero sul piano sagittale, rapida ed a comando, vi fosse un ritardo nell'attivazione del trasverso e degli altri muscoli della parete addominale rispetto al muscolo analizzato, deltoide in tal caso, da cui una mancata stabilizzazione delle componenti passive e conseguente dolore.

Le stesse misurazioni sono state svolte su asintomatici ove questa latenza non era presente ed in essi i primi muscoli ad attivarsi erano quelli vicini al suolo degli arti inferiori, seguiti dalle componenti attive del core (trasverso in primis) e solo in seguito dai fasci del deltoide (clavicolari principalmente visto il piano di movimento), nonostante il meccanismo di feedforward sia relativamente breve, tra i 50 ed i 150 ms, è sufficiente a stabilizzare le strutture passive (Hodges e Richardson, 1996 e 1999), riaffiora così il concetto chiave dell'intera dissertazione ossia proximal stability for distal mobility garantita dai tre sottosistemi menzionati, la cui azione, seppur congiunta, presenta le proprie peculiarità descritte qui di seguito.

Figura 2: Attività elettromiografica del core (tratto da Hodges e Richardson, 1997)

SOTTOSISTEMA NEURONALE

Tale sottosistema gestisce la muscolatura del core tramite azioni dette a feedforward ed a feedback derivanti dai recettori in loco, infatti attraverso il midollo spinale che decorre lungo la colonna vertebrale, tali recettori inviano afferenze al sistema nervoso centrale ed in risposta ricevono efferenze da quest'ultimo; poiché le richieste di stabilità a cui è sottoposto il corpo cambiano continuamente il sistema neuronale opera continuamente attraverso i due meccanismi sopracitati per preservare la stabilità dell'intera struttura in risposta alle perturbazioni interne ed esterne, attese oppure improvvise come una spinta, andando così a modificare i riflessi e le attivazioni muscolari in base agli input provenienti appunto dai recettori come i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi.Circa i meccanismi anticipatori, a feedforward, notevole importanza è legata al muscolo trasverso in grado di contrarsi anticipatamente al movimento degli arti, come già analizzato in caso di una sua ritardata attivazione, rispetto ai muscoli “trigger”, potrebbe svilupparsi low back pain (Hodges e Richardson, 1996 e 1999); importanti informazioni a feedback sono invece garantite dall'azione del multifido, un importante seppur trascurato muscolo facente parte dei traversospinali ovvero un gruppo di muscoli del dorso, il multifido decorre dal sacro fino all'epistrofeo e contribuisce alla stabilità spinale mentre i mobilizzatori globali eseguono movimenti più complessi, non a caso nello studio di Hides, Richardson, Jull (1996) multifidi atrofizzati sono stati rinvenuti in coloro che lamentavano dolore alla bassa schiena cronico, infatti paragonando un gruppo trattato solo con farmaci ad un altro sottoposto anche ad uno specifico programma di esercizio fisico è stato dimostrato che un approccio attivo, piuttosto che esclusivamente passivo, risulta più efficace oltre al fatto che il recupero del multifido non avviene spontaneamente e la mancanza del suo supporto muscolare localizzato, data appunto da una sua atrofia, può essere una delle ragioni dell'elevata ricorrenza di recidive dopo l'episodio iniziale di low back pain.

SOTTOSISTEMA PASSIVO

Spesso parlando di core stability si trascura l'importanza delle componenti passive quali la colonna spinale con le relative vertebre ed i dischi intervertebrali, al contrario una minima conoscenza di queste straordinarie strutture è fondamentale per poter capire come agire razionalmente nelle stesse esercitazioni di core training.La colonna vertebrale (Figura 3) è quella struttura portante del tronco e del capo, facente parte dello scheletro assile, è costituita da 33 vertebre impilate una sopra all'altra che ne costituiscono le unità anatomo – funzionali ed a seconda della loro collocazione sono suddivise in quattro tipologie o segmenti: cervicali, toraciche, lombari e sacrali, questi quattro gruppi costituiscono le curve fisiologiche della colonna: il segmento cervicale e lombare costituiscono le lordosi, il tratto toracico e quello sacrale formando le cifosi (Kapanjii 1947).La presenza di queste curve è giustificata dalla necessità di gestire e tollerare le forze ed i sovraccarichi che si propagano lungo il rachide sia in condizioni statiche che dinamiche infatti se la colonna fosse completamente retta tutto ciò non sarebbe possibile inoltre essa anche con le sue caratteristiche curve non è sufficiente a tale onere e necessiterà dell'intervento della muscolatura stabilizzatrice per essere supportata nella gestione di sovraccarichi importanti; la colonna oltre a donarci supporto e stabilità, grazie alle articolazioni intervertebrali che sono anfiartrosi semi-mobili, è capace di movimenti di flessione, estensione, inclinazione, torsione ed ognuno di questi movimenti è più o meno ampio a seconda della mobilità del segmento considerato (Panjabi 2003).

Figura 3: Colonna vertebrale (tratto da Netter atlante di anatomia umana, 2018)

Le unità funzionali della colonna sono le vertebre ed i dischi intervertebrali: una vertebra (Figura 4) è costituita da un corpo anteriormente e da un peduncolo posteriormente, il corpo è formato da una superficie inferiore e superiore su cui si impilano le altre vertebre, il peduncolo nasce dalla parte posteriore del corpo ed è un processo a forma di ponte che costituisce un foro e con i peduncoli delle altre vertebre un canale posteriore in cui decorre il midollo spinale attraverso cui fluiscono le afferenze ed efferenze del neuronal control; tra una vertebra e l'altra si inserisce il disco intervertebrale costituito da un nucleo polposo circondato da un anello fibro-cartilagineo, questa struttura è adibita ad assorbire le forze impattanti che agiscono sulla colonna, spesso episodi di mal di schiena sono dovuti ad una rottura dell'anello con fuoriuscita del nucleo gelatinoso che così può andare a comprimere le radici nervose nel canale spinale inducendo dolore; a seconda della curva considerata le vertebre avranno una conformazione diversa, per esempio le lombari presentano una struttura più massiccia visti i maggiori sovraccarichi a cui sono sottoposte (Kapanjii 1947).

Nelle articolazioni intervertebrali troviamo diversi legamenti contenenti a loro volta numerosi propriocettori i quali sono in grado di rilevare le deformazioni dei legamenti stessi e di informare il sistema nervoso centrale circa la posizione e il movimento della colonna vertebrale, questa afferenza è fondamentale, insieme a quella dei fusi e degli organi tendinei del Golgi, per “guidare la regia” del neuronal control.Un ruolo importante è ricoperto inoltre dalla fascia toraco-lombare situata nella parte caudale e posteriore del tronco che “agganciandosi” al grande gluteo ed al gran dorsale consente il collegamento tra arti inferiori e superiori costituendo una via di passaggio preferenziale per le forze generate nella catena cinetica posteriore (Figura 5); essa è composta da 3 strati quali anteriore, centrale e posteriore fra cui quest'ultimo essendo il più profondo ha un'intima relazione con il trasverso andando così a completare la già citata “cintura naturale” che avvolge e sostiene la regione lombo-addominale ed in seguito alla contrazione dei muscoli del core agirà come un propriocettore inviando feedback alla componente neuronale (Akuthota e Nadler, 2004).

Figura 4: Vertebra (tratto da Netter atlante di anatomia umana, 2018)

Figura 5: Fascia toraco-lombare (tratto da Anastasi e Balboni Trattato di Anatomia Umana, 2010)

Tuttavia il solo sottosistema passivo ha un potenziale limitato nel tutelare il rachide sopportando fino a 90 N, un valore nettamente inferiore alle capacità di carico normalmente richieste (Panjaby, 1992), lo stesso autore in un successivo articolo (2003) ha analizzato la relazione tra il movimento ed il carico tollerato durante il medesimo da cui la cosiddetta curva carico-spostamento nei movimenti di flessione ed estensione (Figura 6): questa curva non è lineare e siccome la colonna è flessibile a bassi carichi e rigida con carichi crescenti la sua pendenza, intesa come rigidità, sarà direttamente proporzionale al carico, a riguardo ci sono 2 fattori che la spiegano quali il range of motion (R.O.M) e la zona neutra (ZN).La zona neutra è quella parziale parte del R.O.M corrispondente alla resistenza delle sole componenti passive, equivale a circa 90 N ed un suo R.O.M maggiore necessiterà dell'intervento delle componenti attive onde evitare infortuni: la fermezza del rachide la possiamo paragonare ad una biglia in una ciotola (figura 7) in cui la pallina si muove facilmente nella base della stessa intesa come la zona neutra ma richiede maggiore sforzo per muoversi verso i lati ripidi, ovvero quei gesti con R.O.M maggiore, uscendo così dalla zona sicura, ovvero quella neutra, per le sole componenti passive; proprio questi movimenti “grossolani” necessiteranno dell'opportuno sostegno dato dai muscoli stabilizzatori, per cui una ciotola profonda rappresenta una colonna stabile in cui la biglia avrà un maggior margine di R.O.M “protetto” in cui muoversi mentre in una ciotola più bassa la pallina tenderà a “scappare” facilmente e questa “fuga” rappresenta l'accresciuta possibilità di infortunarsi in un R.O.Mnon protetto; questa metafora evidenzia che la “diminuzione” della zona neutra, ottenuta tramite una maggior funzionalità del sistema attivo, può contribuire alla riduzione del dolore e ad ulteriori infortuni (Panjabi, 2003).

Figura 6: Curva di carico e spostamento del rachide (tratto da Panjabi, 2003)

Figura 7: Stabilità del rachide (tratto da Panjabi, 2003)

SOTTOSTEMA ATTIVO

Ritengo doveroso iniziare da una domanda tanto scontata quanto fondamentale, ossia perché la componente attiva garantisce maggior stabilità di quella passiva?Partiamo valutando una sezione trasversa lombare, sezionandola noteremo che i muscoli hanno bracci di leva maggiori dei dischi vertebrali e dei legamenti, garantendo così maggior stabilità rispetto alla controparte passiva, ricordiamoci inoltre che sono i muscoli a ricevere i comandi sotto forma di potenziali d'azione da parte del S.N.C, il famigerato “direttore d'orchestra”, adempiendo così, se ben allenati, alla loro funzione di stabilizzatori e mobilizzatori; come già asserito il core è costituto da ben ventinove muscoli che si inseriscono sulla gabbia toracica, sul bacino, sulla sinfisi pubica ed infine sulla colonna vertebrale, potendo così agire in molteplici direzioni grazie alla variegata disposizione dei fasci di fibre muscolari quindi la stabilità è data dall'azione sinergica di essi piuttosto che da singole ed isolate attivazioni, tuttavia riprendendo il modello di Panjabi due sono i muscoli principali che attivandosi adempiono a tale onere ossia il transversus abdominis ed il multifido lombare, non a caso rappresentano due dei muscoli annoverati tra gli stabilizzatori locali e profondi (Gibbons e Comerford, 2001).

Il trasverso è il muscolo posto più in profondità, origina dal legamento inguinale, dal labbro interno della cresta iliaca, dalla spina iliaca antero-superiore, dalla lamina profonda della fascia toraco-lombare e dalle ultime 6 cartilagini costali dove è in rapporto con il diaframma, si inserisce sulla cresta del pube e sulla linea ilio-pettinea, medialmente va a formare un'aponeurosi che si congiunge con quella del trasverso contro laterale contribuendo così alla formazione della linea alba (Figura 8).

Il multifido (Figura 9) invece è costituito da un insieme di fasci che originano dal sacro e decorrono fino all'epistrofeo; una ritardata attivazione del trasverso e/o un'atrofia del multifido possono indurre mal di schiena, salvo un problema specifico diagnosticato come un'ernia lombare o patologie varie, per cui un programma di allenamento focalizzato su di esso e sulla muscolatura del core (a seconda degli autori considerati) può fare la differenza in termini di benefici sia sul piano personale (basti pensare alla kinesiofobia) sia su quello previdenziale, in riferimento al risparmio per il sistema sanitario.

Figura. 8: Trasverso (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Figura. 9: Multifido (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Rimarchevole è il ruolo assolto dall'obliquo interno il quale agisce quasi in sinergia con il trasverso (in persone che non presentano sintomatologia alla bassa schiena), esso origina dalla cresta iliaca, dalla spina iliaca antero-superiore e dal foglietto profondo della fascia toraco-lombare portandosi verso l’alto ed allargandosi termina superiormente sulle ultime tre coste, medialmente si incrocia con la fascia dell'obliquo interno controlaterale contribuendo a formare la linea alba, infine continua inferiormente nel muscolo cremastere (Figura 10).

Il quadrato dei lombi, come ampiamente dimostrato dal dottor McGill, ricopre un ruolo importante nella stabilizzazione del rachide lombare: si tratta di un debole flessore laterale del busto ma esercizi in isometria come il side plank/bridge contribuiranno maggiormente alla sua sollecitazione (McGill, Childs, Liebenson, 1999); questo muscolo origina dal labbro interno della cresta iliaca e termina sulla dodicesima costa e sui processi costiformi delle vertebre L1, L2, L3 (Figura 11).

Figura 10: Obliquo interno (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Figura 11: Quadrato dei lombi (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Tra i muscoli del core sono annoverati anche il complesso dei sacrospinali o erettori della colonna che si estende per tutta la lunghezza del rachide, dimostrandosi più robusto nel segmento lombare; in questo gruppo troviamo principalmente l'ileocostale ed il lunghissimo del dorso oltre a muscoli più intrinseci come lo spinale ed i trasversospinali tra cui rientra il multifido già citato, vista la sua eterogeneità questo gruppo muscolare rientra sia nella muscolatura profonda che superficiale (Figura 12).

Più superficialmente vi sono l'obliquo esterno ed il retto addominale classificati rispettivamente come stabilizzatore globale il primo e mobilizzatore il secondo (Gibbons e Comerford, 2001); il retto dell'addome origina dalla 5^ e 7^ cartilagine costale, dal processo xifoideo e si inserisce sulla cresta pubica, è il muscolo addominale per antonomasia nell'immaginario collettivo, ambito da tutti coloro alla ricerca del tanto sospirato “six packs”, l'obliquo esterno origina dalla faccia esterna delle ultime otto cartilagini costali e si inserisce sulla cresta iliaca, cresta pubica, legamento inguinale e si congiunge con la guaina del retto dell'addome nella porzione antero-inferiore (Figura 13).

Due componenti spesso sottovalutate sono il diaframma ed i muscoli del pavimento pelvico i quali delimitano superiormente ed inferiormente il volume addominale assumendone la denominazione di ”tetto e pavimento” del complesso del core: stando a Kapanjii (1947) il diaframma è un muscolo cupiforme e laminare che separa la cavità addominale da quello toracica, è il muscolo respiratorio per antonomasia infatti durante l'inspirazione con la sua contrazione viene abbassata la cupola diaframmatica che assieme all'elevazione del torace operata dai muscoli inspiratori provoca l'espansione della cavità toracica e dei polmoni richiamando aria e favorendo la stabilizzazione del rachide, viceversa durante l'espirazione. Non di minore importanza è il compito assolto dai muscoli del pavimento pelvico nei riguardi della stabilità della colonna lombare e del bacino, non a caso un loro tono muscolare adeguato è un fattore importante per il corretto funzionamento dei muscoli stabilizzatori come il trasverso dell’addome ed il multifido (Figura 14).

Figura 12: Sacrospinali (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Figura 13: Obliquo esterno e retto addominale (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Figura 14: Cupola diaframmatica (tratto da Gray Anatomy of the Human Body, 2013)

Gi intimi aspetti anatomici descritti permettono di comprendere quanto il complesso muscolare del coresia di cruciale importanza per preservare la salute della colonna vertebrale, la quale condizione è garantita anche dalla funzionalità dalle componenti passive e neuronali come asserito precedentemente (Panjabi, 1992).

CORE TRAINING O NON CORE TRAINING? ANALISI DEI BENEFICI

Rimane a tutt'oggi la diatriba tra i sostenitori dell'importanza della core stability come McGill ed altri “colleghi” i quali ritengono che tale pratica sia abusata e paragonata alla panacea di ogni problematica lombare, a loro avviso un comune allenamento “full body” indurrebbe maggiori benefici, in ottica preventiva e prestativa, in quanto più affine ai comuni gesti quotidiani; personalmente sono favorevole al core training, se svolto con cognizione di causa, tuttavia tra gli articoli visionati e contrari a tale metodologia, mi ha colpito particolarmente quello del dottor Lederman (2010) per la fermezza con cui ha argomentato le sue osservazioni, per cui reputo appropriato farne una breve disamina.

Nell'articolo “The mith of Core stability” egli afferma che si è cominciato a parlare di core stability dalla seconda metà degli anni ’90 principalmente in conseguenza di studi che hanno dimostrato un alterato timing di attivazione nei muscoli stabilizzatori nelle persone affette da aspecific and cronic low back pain, secondo tali studi durante un movimento rapido di un arto il muscolo trasverso, negli individui con dolore alla bassa schiena, ha un ritardo nell'attivarsi rispetto agli asintomatici per cui è stato concluso che esso, tramite le sue connessioni alla fascia lombare, svolga un ruolo cardine sul controllo della stabilità spinale e pertanto qualsiasi sua debolezza o deficit potrebbe indurre lombalgia (Hodges e Richardson, 1996).

Lederman a proposito ribatte che i riflessi posturali sono organizzati con largo anticipo in previsione di un movimento o di una perturbazione esterna od interna ed il trasverso è solo uno dei muscoli che prendono parte a questo sistema a feedforward, dunque solo perché negli asintomatici si attiva prima di tutti gli altri muscoli non significa che sia il più importante ma semplicemente il primo della sequenza e si può quindi affermare che una suo ritardato timing d'attivazione, in persone con mal di schiena, possa essere persino una strategia vantaggiosa e di protezione attuata dall'organismo piuttosto che un deficit; stando ancora agli studi di Hodges e Richardson citati prima la differenza nel tempo di attivazione tra asintomatici e sintomatici era di soli 20 ms, secondo Lederman un tempo irrisorio per indurre benefici, inoltre va notato che non si parla di differenza di forza ma deltiming di attivazione e questa tempistica non è sotto il controllo volontario della persona quindi è difficile che il terapista riesca a valutare aspetti come la debolezza e lo squilibrio di singoli muscoli, perciò questo timingalterato non è da considerarsi patologico quanto una semplice variante soggettiva; spesso negli esercizi di core stability viene posto l’accento sul reclutamento isolato del trasverso o su esercizi a bassa velocità eseguiti supini, proni, in decubito laterale od in quadrupedia come proposto da McGill nei suoi protocolli in cui egli afferma che tali posizioni potrebbero aiutare a normalizzare le tempistiche di attivazione motoria eppure Lederman ribatte che sarebbe come cercare di allenarsi a suonare il pianoforte più velocemente facendo dei pesi con le dita, dunque questa strategia sarebbe inefficace viste le contraddizioni tra l’allenamento della core stability ed i principi di specificità ed apprendimento motorio ovvero quello che si impara in una situazione particolare non necessariamente può essere trasferito in un altro contesto, come un gesto sportivo specifico (Lederman, 2010).

Personalmente non concordo con Lederman, sia per il discorso dell'alterato timing di attivazione quale strategia vantaggiosa, sia con l'ultimo concetto riguardante la scarsa specificità della core training: certo un plank o un curl up non saranno direttamente connesse ad un gesto come una schiacciata nella pallavolo o a caricare un furgone in ambito lavorativo, tuttavia dopo aver parlato della funzione stabilizzatrice dei muscoli profondi e di quanto sia importante sviluppare catene cinetiche senza punti deboli, non vedo perché non si possa partire, ad esempio in off season con atleti, con esercizi affini a tutto ciò per poi progredire ad esercitazioni più complesse, la parola chiave sarà “specificità” ossia fin da subito valutare l'individuo e somministrarli ciò che è più opportuno: per fare un paragone “estremo” dovessimo valutare Cristiano Ronaldo ed il suo giardiniere ipoteticamente con lo stesso problema di aspecific low back pain gli tratteremo diversamente viste le loro diverse necessità; non reputo opportuno accusare questa tipologia di esercizi di non essere utile, senza prima contestualizzare ogni caso, però concordo con Lederman con il fatto che spesso e volentieri venga abusata, un pò per “ignoranza” in materia, in parte perché ci si lascia trasportare dalla moda del momento cercando persino di farne uno strumento commerciale piuttosto che un metodo di esercizio fisico. Nonostante la mancanza di un'ubiquitaria metodica a livello scientifico, la core training viene ampiamente usata da diversi professionisti e ricercatori come pratica preventiva, riabilitativa ed in ambito fitness e sportivo, naturalmente sarà fondamentale un'anamnesi iniziale al fine di escludere qualsiasi condizione o "red flags" che potrebbero controindicarne l'utilizzo, ad esempio su una persona con necessità di rinforzare la parete addominale che tuttavia presenta anche un'ernia lombare, sarà opportuno evitare di proporre esercizi in flessione completa del busto, come i sit up, ma possibilmente ci si orienterà su un lavoro isometrico, proponendo esercizi come il curl up, da cui sarà eventualmente possibile progredire.

Dopo aver trattato un autore come Lederman che seppur contrario alla core stability ha comunque destato interesse all'interno della comunità scientifica, ho visionato altri autori ed articoli internazionali che al contrario del precedente sono favorevoli a questa tipologia di esercizio fisico seppur ognuno con le sue peculiarità: tra essiAkuthota e Nadler (2004) hanno tentato nella loro review, usando un quadro teorico, di analizzare la letteratura disponibile sulla core strengthening ovvero il rafforzamento del core; questa tipologia di allenamento è stata rivalutata dapprima in campo riabilitativo da cui si è diffusa anche ad altri settori come il fitness e la preparazione atletica al fine di implementare la stabilizzazione lombare ed il controllo motorio.

Il rafforzamento del core è, in sostanza, lo sviluppo del controllo muscolare attorno alla colonna lombare per mantenere la stabilità funzionale durante le più svariate attività per cui è stato promosso come un regime preventivo, come forma di riabilitazione per varie lesioni lombari e muscolo scheletriche e come programma di miglioramento delle prestazioni, in breve adempie alla funzione di centro di connessione tra le catene cinetiche; nell'articolo dopo una prima dettagliata panoramica sulle strutture anatomo funzionali, da me già ampiamente descritte nella sezione precedente come il ruolo di feedforward ricoperto dal trasverso, si evince l'importanza della corretta funzionalità delle singole strutture e della loro cooperazione, infatti se uno dei muscoli della regione ha un deficit ne risentirà l'intera struttura ovvero quella “cintura naturale” che avvolgendo il bacino ed aumentando la pressione intra-addominale conferisce stabilità statica e dinamica al rachide. Seppur spesso trascurati anche il diaframma ed il pavimento pelvico fanno parte di questo complesso, non a caso ne sono considerati il tetto e la base: spesso le persone con dolore alla bassa schiena hanno una compromissione nel reclutamento del diaframma e del pavimento pelvico quindi le tecniche di respirazione diaframmatica e del pilates possono costituire un parte importante in un programma di core strengthening. Interessante il paragrafo in cui si parla del retto addominale ove si osserva che i più diffusi programmi di fitness si concentrano principalmente su questo muscolo mobilizzatore, tralasciando gli stabilizzatori locali i quali sono quelli su cui ci si dovrebbe focalizzare in partenza in ottica preventiva su individui sani ed in ambito rieducativo su sintomatici, infatti proponendo esclusivamente i soliti ed abusati esercizi come i sit-up completi, i leg raise si andrà a creare uno squilibrio tra gli stabilizzatori locali non sufficientemente allenati ed i mobilizzatori, come il retto dell'addome ed i flessori dell'anca, come lo psoas, che saranno così eccessivamente sollecitati ed ipertonici; sarà perciò necessario allenare la muscolatura stabilizzatrice locale in modo progressivo adattandosi alle condizioni e necessità della persona, infatti la riattivazione dei muscoli profondi inibiti e la loro endurance isometrica piuttosto che la forza pura saranno di primaria importanza, specie in coloro affetti da low back pain, partendo dal mantenimento della fisiologica curva lombare fino alle esercitazioni più avanzate di core training in cui specialmente con atleti si passerà a gesti più specifici come le torsioni del busto con palla medica. In principio con individui con scarsa consapevolezza o dolore nel segmento lombare, spesso anello debole della catena cinetica, si partirà con esercizi in cui si ricerca l'attivazione isolata del trasverso come nell'abdominal hollowing (svuotamento addominale) passando poi ad altri esercizi in cui si co-attivano più muscoli, abdominal bracing, sono un esempio i big three di McGill ossia curl up, side bridge e bird dog da cui si progredirà ad esercizi più complessi svolti nelle varie posizioni ossia in piedi, deambulando, da seduti (seppur quest'ultima posizione sia criticata in quanto favorisce l'appiattimento della fisiologica lordosi ed una maggiore attività dei flessori dell'anca). In ambito sportivo il discorso rispetto ad un individuo comune cambia in quanto i movimenti si sviluppano rapidamente sui tre piani cardinali (sagittale, frontale e trasverso, seppur quest'ultimo sia trascurato nelle core training) e sarà necessario allenarsi su tutti essi tenendo anche conto dei gesti specifici di ogni disciplina, infatti esercizi come squat, body blade, torsioni con la palla medica potranno essere sfruttati per questi scopi oltre all'utilizzo di superfici instabili al fine di un miglioramento della propriocezione e dell'equilibrio. Gli autori concludono citando i limiti di questa metodica, in particolare poter verificare effettivamente il suo specifico ed isolato beneficio è difficile dato che viene solitamente proposta insieme ad altri interventi come le terapie mediche od altri esercizi sport specifici che reclutano, seppur diversamente, questi muscoli; nonostante il suo utilizzo sia ampiamente diffuso non ha ancora avuto un'univoca linea guida a differenza di altre materie, da cui derivano i pareri contrastanti tra i diversi seppur autorevoli autori come Lederman ed Akuthota con Nadler. Avendo parlato di attivazione isolata del trasverso attraverso lo “svuotamento addominale” detto “abdominal hollowing” e di attivazione globale della muscolatura del core “abdominal bracing”, sorge spontaneo domandarsi quale delle due sia migliore ed in quali contesti utilizzare una piuttosto che l'altra, a tal proposito Sylvain, Grenier e McGill (2007) nel loro articolo hanno cercato di dare una risposta a questa domanda; in questo studio essi hanno confrontato l'influenza delle due strategie di attivazione addominale sulla stabilità meccanica della colonna lombare, lo studio è stato condotto in laboratorio su otto uomini sani tra i 20 ed i 33 anni su cui attraverso elettromiografia e cinematica della colonna vertebrale sono state registrate le attivazioni dei muscoli sia durante l'abdominal hollowing che l'abdominal bracing mentre sostenevano un carico bilateralmente o monolateralmente nelle mani e dai risultati la tecnica di attivazione completa detta “brace technique o abdominal bracing” ha incrementato la stabilità in modo nettamente maggiore rispetto alla singola attivazione isolata del trasverso (abdominal hollowing) per cui non sembra esserci alcun fondamento logico nell'utilizzo del solo svuotamento con l'obiettivo di migliorare la stabilità; tuttavia rifacendoci al precedente articolo di Akuthota e Nadler (2004) potrebbe essere proposto in fase iniziale con neofiti o sintomatici di mal di schiena con poco se non nullo controllo della motricità lombo-pelvica od addirittura considerando altri autori come Hodges and Richardson (1996) sembrerebbe invece che esso abbia un ruolo cardine onde evitare aspecific and cronic low back pain.

Personalmente sono rimasto incuriosito da questa diatriba dacché ho provato a mettere in pratica entrambe le correnti di pensiero rendendomi conto che sia su di me che su altri individui l'esercizio di svuotamento ed attivazione isolata del trasverso sia risultato quello più difficile da mettere in pratica in quanto nessuna delle persone è riuscita a percepire in modo soddisfacente il lavoro nella regione addominale da cui una loro scarsa “compliance” mentre in esercizi con un'attivazione muscolare più globale come i big three (McGill e Karpowicz 2009) i feedback sono stati nettamente migliori: essendo rimasto incuriosito dall'argomento ho deciso di scrivere questa tesi con l'obiettivo di riprodurre uno dei protocolli proposti proprio dal dottor McGill ossia il McGill's Torso Muscolar Endurance Test.

Figura 16: Curl Up (trattto da McGill e Karpowicz, 2009)

Figura 18: Side bridge (tratto da McGill e Karpowicz, 2009)

Figura 17: Bird Dog (tratto da McGill e Karpowicz, 2009)

Rimanendo in tema di “abdominal bracing” ho trovato interessante il già citato articolo di McGill e Karpowicz (2009) in cui l'obiettivo era quello di quantificare l'efficacia di tre esercizi divenuti celebri come i “big three” ossia il curl-up, il side-bridge ed il birddog (figure 16, 17, 18), oltre ad alcune loro varianti e progressioni, per la loro efficacia nel migliorare il reclutamento dei muscoli profondi del core da cui una maggior stabilizzazione spinale anche nelle persone più sensibili come coloro affette da low back pain dato che questi esercizi inducono una bassa compressione vertebrale; lo studio è stato condotto su uomini in buona salute i quali hanno eseguito i tre esercizi menzionati e durante cui, tramite un'analisi elettromiografica superficiale sui muscoli del tronco e dell'anca, sono stati raccolti dei dati e tratte delle conclusioni: confrontando i livelli di attività muscolare è stato osservato che vi erano miglioramenti in ogni tipologia di esercizio, in generale il rinforzo della parete addominale ha migliorato l'attivazione degli obliqui ma anche degli altri muscoli del core limitrofi (salvo alcune variazioni indotte dall'introduzione di alcune modifiche esecutive come “disegnare dei quadrati” con la mano ed il piede durante il bird dog); i dati finali raccolti vogliono così rappresentare una sorta di linea guida che aiuteranno a riprodurre gli esercizi, le eventuali modifiche e le progressioni più opportune per ridurre al minimo l'eventuale dolore e massimizzare la funzionalità del core infatti l'aspetto più interessante di queste tre esercitazioni è che possono essere proposte anche su sintomatici con dolore alla bassa schiena visto il basso impatto spinale da cui un loro uso sia in ottica rieducativa e sia in ambito preventivo con individui sani od atleti (seppur con quest'ultimi andrebbe proposta principalmente in off season dato che nel corso della stagione alleneranno i gesti motori sport specifici); considerati i risultati documentati rispetto ad altri esercizi si sono rapidamente diffusi a livello internazionale entrando a far parte di diverse routine di core stability adottate da terapisti ed allenatori per cui “i big three” presentati in questo articolo possono essere considerati, in virtù della facilità di riproducibilità e dei risultati raggiunti, uno dei migliori approcci al core training.

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