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L'utilizzo del pulsossimetro per la simulazione "dell'allenamento in quota"

Aggiornamento: 24 nov 2020


Con il termine "simulazione dell'allenamento in quota" si intende tutta quella serie di tecniche di allenamento volte a ricreare gli stessi meccanismi che fisiologicamente avvengono in altitudine; è una terminologia impropria, poiché l'adattamento in altura è una risposta che si struttura nel corso del tempo ed ha bisogno di tempi di esposizione continui di almeno dieci giorni, in cui l'atleta si allena, dorme e mangia sempre in quota.

Con l'utilizzo di tecniche respiratorie ed il monitoraggio strumentale mediante pulsossimetro è tuttavia possibile ricreare in parte quella tipologia di stimolo, che avrà effetto diretto a livello dei chemocettori e risulterà particolarmente interessante in tutte le tipologie di attività sportive.

Fig. 1 Pulsossimetro portatile

L'ADATTAMENTO IN QUOTA

L'allenamento in altura richiede logicamente un periodo di adattamento, che prende il nome di acclimatazione. Proprio durante questo periodo avvengono quelle risposte fisiologiche e metaboliche che migliorano la tolleranza all'ipossia. Logicamente avremo adattamenti compensatori alla quota apprezzabili immediatamente, mentre altri saranno più tardivi e richiederanno settimane o addirittura mesi.

I principali adattamenti compensatori che si verificano in alta quota (2300 metri) come risposta fisiologica alla rarefazione dell'aria sono:

  • Aumento del drive respiratorio per promuovere l'iperventilazione

  • Aumento del flusso ematico a riposo e durante attività sub massimale

L'iperventilazione da ridotta pO2 arteriosa è una risposta immediata in un soggetto esposto all'alta quota. Questo meccanismo fisiologico vede l'intervento di specifici recettori (chemocettori) presenti nelle diramazioni delle arterie carotidi del collo, sensibili alle variazioni di pO2. Questa modificazione della attività inspiratoria facilita l'assunzione di O2 nei polmoni, e rappresenta il primo sistema di difesa del nostro organismo contro una ipossia ambientale.

Il secondo adattamento riguarda un aumento dell'attività cardiovascolare. L'esposizione all'alta quota , determina nelle prime ore un aumento a riposo della pressione arteriosa sistemica, inoltre si registra un aumento della frequenza cardiaca e della gittata sistolica per attività sub massimali. Tali modificazioni possono addirittura arrivare al 50% in più rispetto ai valori registrati a livello del mare. Rimane invece invariato il volume sistolico. Questa aumentata risposta cardiovascolare compensa largamente la desaturazione arteriosa che si viene a creare.

La modificazione dell'equilibrio acido base è determinata dall'iperventilazione che determina una riduzione della CO2 ed un aumento della pO2 alveolare. Proprio le variazioni del respiro, riducono le normali concentrazioni alveolari di CO2, creando un gradiente di diffusione più ampio e determinando un decremento della pCO2 arteriosa. Tale decremento determina un aumento del Ph per via della perdita di acido carbonico ed i liquidi corporei diventano più alcalini.

L'aumento della capacità di trasporto ematico di O2 rappresenta uno degli adattamenti principali derivanti dall'allenamento in altura. Esso è determinato da due fattori: una diminuzione del volume plasmatico , a cui segue un aumento degli eritrociti e dell'emoglobina.

Il volume plasmatico tende a diminuire durante le prime ore successive all'esposizione in quota, spostandosi dagli spazi intravascolari a quelli interstiziali ed intercellulari. Questo meccanismo determina un aumento della concentrazione dei globuli rossi (emoconcentrazione). Ciò spiega un maggior contenuto di O2 arterioso, con valori al disopra di quelli registrati all'arrivo in altura.

Il secondo fattore responsabile di un miglior trasporto dell'O2 è individuabile nella così detta policitemia o aumento in numero di globuli rossi. Tale fenomeno scaturisce dalla riduzione della pO2 arteriosa, e dall'azione della eritropoietina (EPO) , ormone sintetizzato e rilasciato dai reni che induce la formazione di eritrociti. Ovviamente un maggior numero di globuli rossi si traduce in un aumento della capacità di trasportare O2 da parte del torrente circolatorio.

IL PULSOSSIMETRO

Il Saturimetro o Pulsiossimetro o più semplicemente Ossimetro, è un'apparecchiatura di rilevazione che si usa per controllare in modo continuo lo stato di ossigenazione del sangue. Questa tecnologia semplice, non invasiva e di facile impiego, ideata negli anni '30 e sviluppata durante la II Guerra Mondiale.

Il Saturimetro è diventato oggi uno strumento portatile e rappresenta un importante passo in avanti per il monitoraggio costante dei pazienti e degli atleti, ad un basso costo. Si compone di una sonda a forma di pinza, composta da due diodi che generano fasci di luce nel campo del rosso e dell'infrarosso e da una fotocellula che riceve la luce dopo che i fasci hanno attraversato la cute e la circolazione del soggetto. La sonda si applica generalmente sul dito di una mano o sul lobo dell’orecchio. Ad ogni battito cardiaco è possibile visualizzare la saturazione dell'ossigeno, la frequenza e l'intensità del polso del paziente. Alcuni modelli più recenti e più compatti hanno sonda e unità di calcolo uniti insieme.

Il Saturimetro permette di misurare la percentuale di emoglobina legata nel sangue ma non permette di stabilire con quale gas essa è legata. Questo strumento permette inoltre di visualizzare la frequenza cardiaca e l'intensità della pulsazione. Con alcuni modelli di Saturimetri è possibile vedere l’andamento della pulsazione, registrando un periodo di misurazione.

L'utilizzo del Saturimetro in condizioni non ottimali può comportare errori di lettura che possono falsare i risultati ottenuti, ad esempio lo smalto per unghie, scherma le lunghezze d'onda generate dalla sonda, rendendo imprecisa la misurazione al dito. Anche l’eccessivo movimento durante la misurazione può andare facilmente a falsare il risultato.

Il Saturimetro, utilizzando fasci luminosi a due sole lunghezze d'onda, riesce a riconoscere le molecole di emoglobina libera e quelle sature, ma non è in grado di distinguere l'emoglobina satura in ossigeno da quella satura ad esempio di ossido di carbonio. Non è quindi possibile diagnosticare un’intossicazione da monossido di carbonio con questo strumento. In conclusione il saturimetro, usato correttamente, consente di ottenere importanti informazioni sullo stato di ossigenazione del sangue in modo continuo, semplice e affidabile.

LA SATURAZIONE DELL'OSSIGENO spO2

E’ l’ossigeno sostanzialmente presente nel sangue, legato alla emoglobina (98%), il restante 2% è disciolto nel plasma. L’emoglobina puo’ essere legata a ossigeno (ossiemoglobina, O2Hb) oppure non legata (emoglobina ridotta, HHb)

– In alcuni stati patologici l’emoglobina non legata all’ossigeno (HHb) è una quota significativa dell’ammontare totale di molecole di emoglobina.

– Si definisce saturazione dell’ossigeno nel sangue (SPO2) la percentuale di molecole di ossiemoglobina calcolata sul totale delle molecole di emoglobina presenti.

Una misurazione fisiologica della saturazione si attesta tra:

  • maggiore del 96% sono considerati valori normali di O2;

  • minore di 95 e maggiore di 93% sono indicativi di possibili problemi di ossigenazione ovvero una parziale assenza dell’ossigeno (lieve ipossia);

  • minore di 92 e maggiore di 90% sono indicativi di ossigenazione insufficiente

  • al di sotto del 90% non sono fisiologici ed indicano una severa deficienza di ossigeno (grave ipossia)

Il valore di 100 misurato “in aria ambiente” (cioè senza somministrazione artificiale di ossigeno) può essere sintomo di iperventilazione, che può essere dovuta, per esempio, ad attacchi di panico. A volte anche valori intorno al 90% possono risultare normali: è il caso di persone affette da broncopneumopatie croniche ostruttive(BPCO).

Fig. 2 Curva di dissociazione dell'ossiemoglobina, effetto Bohr

SIMULAZIONE DELL'ALLENAMENTO IN QUOTA Per facilità di esercizio si scelgono sempre attività aerobiche cicliche (corsa, camminata, bike ecc...), l'ideale è l'utilizzo di macchine cardio in palestra poiché consentono una più facile lettura dei valori di spO2.

Si sceglie un valore di saturazione da raggiungere, ad esempio il 93%:

  • Eseguiamo attività aerobica per almeno 1 minuto. Espirare lentamente e trattenere il fiato per almeno 20 secondi. Inspirare pochissimo (solo per ridurre la tensione) e trattenere il fiato per 5 secondi o più.

  • Inspirare ancora poco e procedere trattenendo il fiato per altri 5 secondi.

  • L’esercizio si interrompe al raggiungimento della saturazione di ossigeno impostata.

Questo tipo di allenamento deve essere eseguito su soggetti sani ed è severamente sconsigliato su:

  • Donne in gravidanza

  • Ipertesi

  • Soggetti con patologie cardiovascolari

  • Diabetici

Durante le prime sedute di allenamento è estremamente difficile far scendere la saturazione dell'ossigeno in quanto l'azione dei chemocettori porta più facilmente a sospensione dell'attività piuttosto che ad un abbassamento dell'ossigeno periferico. L'utilizzo di queste tecniche è particolarmente utile in tutte le discipline in cui la soglia anaerobica è particolarmente sollecitata, garantendo una maggior durata prestativa a parità di capacità ossidativa e lattacida.

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