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  • Marco Altini

Variabilità della Frequenza Cardiaca: le basi


Che cos’è la HRV? HRV o heart rate variability è un termine usato quando si parla di variabilità cardiaca. In altre parole, il cuore non batte ad una frequenza costante, anche quando abbiamo un battito medio di 60 battiti al minuto, il cuore non batte esattamente ogni secondo, ma ci sono sempre tempi variabili tra un battito e l’altro. Come mai? Per quale motivo ci interessa misurare questa variabilità? Il corpo umano, a livello fisiologico, cerca di mantenere uno stato di equilibrio, chiamato omeostasi, necessario per un funzionamento ottimale. Il corpo percepisce lo stress attraverso i nostri sensi, e manda queste informazioni al cervello, che decide come reagire. Indipendentemente dalla sorgente che causa lo stress, il corpo risponde allo stesso modo.

Tornando alla nostra variabilità cardiaca, i tempi non costanti tra un battito e l’altro riflettono l’attività del sistema nervoso autonomo in risposta agli stimoli, ovvero alle sorgenti di stress. La variabilità cardiaca non è altro che un fenomeno mediato dai neuroni ed in particolare dal nervo vago, quindi dal sistema parasimpatico. Quando incontriamo una forma di stress, il sistema nervoso autonomo porta gli impulsi ricevuti dal cervello ai vari muscoli ed organi del corpo umano. Questo meccanismo del sistema nervoso autonomo comanda quasi il 90% delle funzioni del corpo umano, sia quelli a breve termine come la respirazione che quelli più a lungo termine come la temperatura corporea o il ritmo circadiano.

Abbiamo detto che la variabilità cardiaca è fondamentalmente controllata dal nervo vago, uno dei più importanti nervi cranici. In pratica esso controlla vari organi nel corpo umano, tra cui il cuore, e quello che facciamo quando misuriamo la variabilità cardiaca (HRV), non è altro che fare una misura indiretta e non-invasiva dell’attività del nervo vago, in quanto analizziamo dei processi da questo alterati, cosi come la variabilità tra battiti cardiaci. Ad esempio, un’attività più elevata del nervo vago, tipica di un’attività maggiore da parte del sistema parasimpatico, risulterà in una HRV più alta.

Misurando HRV possiamo quindi catturare cambiamenti a livello di sistema nervoso autonomo in modo non invasivo, e ottenere importanti informazioni sulle capacita fisiche e mentali del corpo.

Per riassumere, il sistema nervoso autonomo controlla e regola moltissimi processi all’interno del corpo umano cosi come le risposte del nostro corpo a varie forme di stress. HRV è regolata dal sistema nervoso autonomo, in particolare dal sistema parasimpatico (quantomeno le variabili più facili da interpretare) e di conseguenza ci può rivelare informazioni importanti sulla reazione del nostro corpo allo stress, indipendentemente da cosa lo ha generato (allenamento, un periodo difficile sul lavoro, ecc.).

Questo è proprio il motivo per cui la variabilità cardiaca ci può fornire informazioni cosi importanti sul nostro stato fisico e mentale: non è un processo focalizzato solo sull’allenamento ma rappresenta una serie di processi tramite i quali il corpo gestisce lo stress (fisiologico), e soprattutto in una società frenetica come quella odierna, può aiutarci a gestirci meglio, evitare sovrallenamento così come esaurimenti nervosi, e migliorare stile di vita e prestazione fisica.

Come viene misurata? L’HRV si può misurare in vari modi. Il sistema di riferimento è l’elettrocardiogramma, anche se negli ultimi anni per fortuna ci sono stati sviluppi tecnologici che hanno portato queste misure un po’ nelle mani di chiunque abbia un interesse. Ad HRV4Training abbiamo creato il primo sistema al mondo in grado di misurare la variabilità cardiaca usando semplicemente il telefono, in pratica analizzando il flusso sanguigno illuminando il dito con il flash del telefono, e usando la videocamera e una serie di algoritmi per individuare i tempi tra i battiti e calcolare HRV. Questi metodi sono stati testati e validati al centro High Performance Sports New Zealand, appunto in Nuova Zelanda, da alcuni dei ricercatori più prominenti nell’area. Fino a pochi anni fa queste misure erano disponibili solo spendendo migliaia di euro in tecnologie poco pratiche, o andando in cliniche o laboratori dove purtroppo si può misurare solo poco frequentemente, di conseguenza perdendo di utilità. Alternative valide al giorno oggi sono sicuramente alcune fasce come le Polar, e (pochi) altri sensori. A breve sicuramente ci saranno più alternative anche a livello di orologi, ma al momento la grande maggioranza è utile solo per il calcolo del battito medio, e non della variabilità cardiaca.

Una volta che abbiamo scelto un sistema per la misura dell’HRV, purtroppo c’è una complessità ulteriore, ovvero che ci sono vari modi per quantificare la variabilità cardiaca. Normalmente, le modalità più affidabili e sulle quali c’è più consenso nella comunità scientifica, sono relative alla misura del sistema parasimpatico, ovvero quello che si occupa dello stato di recupero del corpo. Quando l’HRV viene quantificata in questo modo, ci aspettiamo un valore più alto in caso di minore stress, ed un valore più basso quando c’è un maggiore livello di stress. Questa chiaramente è una semplificazione di processi molto più complessi. Il modo più comune di quantificare la variabilità cardiaca nelle app disponibili sul mercato è la cosiddetta rMSSD, o una sua derivazione. rMSSD indica una formula matematica usata per trasformare le variazioni in battiti su un periodo da 1 a 5 minuti, in un singolo numero che indica il livello di attività del sistema parasimpatico. In HRV4Training ad esempio, l’utente può analizzare i dati sia come rMSSD che utilizzando una metrica alternativa che abbiamo creato per semplificare un po’ le cose, chiamata Recovery Points. Le due metriche forniscono esattamente le stesse informazioni, ovvero un valore più alto indica meno stress.

Scelti una app e un sensore, e una metrica HRV, siamo pronti a raccogliere dati e a provare a capirci un po di più.

Quali fattori influenzano il dato? Per natura stessa di quello che la HRV quantifica, ovvero l’attività del nervo vago, o attività del sistema nervoso autonomo, un po’ tutto la influenza. Proviamo a fare una lista di fattori che sono stati associati ad HRV in pubblicazioni recenti: si va da esercizio fisico, a nicotina, caffeina, medicinali, ora del giorno (ritmo circardiano), alcol, età, digestione di cibo o anche acqua, malattia, ecc. – come facciamo quindi a derivarne conclusioni valide se i processi che misuriamo sono influenzati da cosi tanti parametri? E’ fondamentale misurare la variabilità cardiaca in modo da limitare il più possibile l’effetto di fonti di stress cosiddette esterne: il modo più semplice per creare un cosiddetto contesto riproducibile in cui fare la misura, è di farla appena svegli, prima di fare esercizio, mangiare, mettersi a lavorare, ovvero prima di venire influenzati dalle varie forme di stress di tutti i giorni. Una misura ancora da letto, rilassati, anche solo per 60 secondi, è un ottimo metodo per ottenere dati validi, che rappresentano il livello di stress fisiologico cronico o in risposta a stress acuti molto forti, della durata di vari giorni, come ad esempio un allenamento molto intenso o un viaggio intercontinentale. Questo è il metodo che utilizziamo anche quando facciamo ricerca. Misurare durante la giornata o in altri momenti ha poco significato in quanto spesso non facciamo altro che catturare l’effetto di una qualche forma di stress acuta (una delle tante della lista precedente), il che è solitamente un effetto transitorio della durata di qualche minuto / ora, ed ha poco a che vedere con l’informazione che ci interessa di più, ovvero lo stress cronico. L’attività del nervo vago è molto veloce, ed ha un effetto sul cuore e sulla variabilità cardiaca quasi immediato, nel giro di 1-2 secondi, per questo motivo è facile rilevarla anche con misurazioni molto brevi di un minuto.

Perché per un atleta è importante questo dato? Come va interpretato? Dal mio punto di vista, questo dato è importante un po’ per tutti, non solo per l’atleta, in quanto ci fornisce informazioni sul livello di stress, e gestire lo stress è una delle attività principali del corpo, con tutti i problemi del caso quando non siamo in grado di gestirlo correttamente. Non a caso è anche uno dei parametri legati alla longevità e condizione di salute.

Detto ciò, nell’atleta, l’applicazione e il monitoraggio dell’HRV è più diffuso a mio riguardo perché è più semplice quantificare la forma di stress, ovvero l’allenamento. La relazione tra allenamento e HRV è evidente ed è stata provata più volte in vari studi scientifici, in quanto l’allenamento è una forma di stress molto elevata per il corpo. Per altre applicazioni, ad esempio legate alla salute fisica e mentale, può essere molto più complesso identificare e quantificare le fonti di stress, rendendo difficile l’implementazione di un feedback cosi come modificare poi i nostri piani per migliorare le cose.

In atleti professionisti, il rischio di sovrallenamento è sempre dietro l’angolo, causa volumi di allenamento molto alti. Abbiamo vari programmi a disposizione per pianificare e analizzare l’allenamento, mi viene in mente Training Peaks dove possiamo decidere carico di allenamento per i prossimi mesi, e vedere dove ci porta a livello di condizione fisica. In tutto ciò però, non stiamo considerando come sta rispondendo il corpo dell’atleta a tale programma di allenamento. Si sta adattando bene? O sta faticando più del previsto? Una misura oggettiva dello stato di stress può aiutarci a implementare cambiamenti in corsa. Per l’atleta non professionista, magari che si allena quando non deve dedicare tempo al lavoro o alla famiglia, misurare l’HRV può essere ancora più importante, in quanto tutte le forme di stress vengono rilevate in questo modo, e possiamo capire meglio quando è il caso di rallentare con gli allenamenti, o quando possiamo concederci una sessione intensa in più, sempre con l’obiettivo di migliorare la prestazione fisica sul lungo termine.

Come combinarlo nella pianificazione dell’allenamento? Nella pianificazione dell’allenamento, vedo l’HRV come un parametro da utilizzare come feedback continuo per ottimizzare carichi e periodizzazione. Cerco di spiegarmi, mentre ad esempio vogliamo ambire ad un certo carico di allenamento (chilometri a settimana) o ritmo in gara (minuti al chilometro), dal punto di vista fisiologico vediamo solitamente un calo del battito a riposo e un calo anche del battito durante la corsa (se manteniamo il ritmo costante) una volta raggiunta una condizione fisica migliore (un livello di fitness cardiorespiratorio più elevato: non mi aspetterei necessariamente un aumento simultaneo di HRV e non lo considererei un obiettivo per l’atleta. L’HRV ci fornisce informazioni sul livello di stress e su come stiamo rispondendo al carico di allenamento, se va tutto bene ci aspettiamo valori pressoché costanti e poche variazioni, una situazione dove è “tutto normale”. In caso di stress elevato, misurare ogni giorno ci farà notare questo cambiamento velocemente, e ci darà la possibilità di implementare cambiamenti che facciano si’ che le cose tornino “normali” prima che sia troppo tardi (ad esempio prima del sovrallenamento). Cambiamenti che possono essere molto semplici, come posticipare una sessione di intervalli per un giorno migliore. Questo feedback continuo ci da la possibilità di adattare in corsa il programma di allenamento in base a quelle che sono le risposte del nostro corpo.

E’ importante inoltre, avere sempre un programma di allenamento e una pianificazione da seguire, ed eventualmente modificare. L’estremo opposto, ovvero partire senza programma ed affidarsi solo ad HRV, non avrebbe senso in quanto non faremmo altro che rovinarci di allenamenti intensi per accorgercene poi troppo tardi. Un programma di allenamento polarizzato, includendo una buona parte di allenamenti a bassa intensità, combinati con sessioni intense di lavoro sulla velocità e il fitness cardiorespiratorio, solitamente è in grado di fornire un ottimo equilibrio, e può essere ottimizzato analizzando la risposta di un atleta al programma, usando l’HRV.

A livello pratico, consiglierei di rendere la misura mattutina un’abitudine, anche se 4-5 misure a settimane sono sufficienti per una stima del livello di stress cronico. Più dati possono aiutare, in quanto quando andiamo a guardare i dati sul medio-lungo termine, possiamo analizzare parametri aggiuntivi che ci possono dire di più sull’adattamento (o mancato adattamento) di un atleta al programma di allenamento. Ad esempio, un valore di HRV che varia molto da un giorno all’altro, spesso è sintomo di problemi di adattamento (o altre fonti di stress presenti), mentre un valore un po più costante durante la settimana, è un segnale migliore. Chiaramente il tutto va sempre analizzato nel contesto del carico di allenamento. Consiglierei anche di non stressarsi troppo sulla misura giornaliera, un valore basso può non significare niente di particolare, magari solo una pessima dormita o cattiva digestione, ed è sempre meglio concentrarsi sulla media settimanale, e l’andamento a medio lungo termine.

Per approfondire: HRV Heart Rate Variability

Note sull'autore

Marco Altini è scienziato ed ingegnere con circa 50 pubblicazioni tra salute, sport ed intelligenza artificiale; ha ottenuto la laurea specialistica con lode in Ingegneria Informatica all’Universita di Bologna (Italia) e il dottorato in Machine Learning con lode a Eindhoven University of Technology (Olanda). E’ data scientist dell’azienda Bloomlife (San Francisco, USA), che si occupa di sviluppare tecnologie per il monitoraggio della salute delle donne in gravidanza. Ma soprattutto ha ideato l’app HRV4Training, che permette di misurare il livello di stress fisiologico (HRV) usando solo lo smartphone, senza sensori esterni, cosi come di interpretare i dati nel contesto del miglioramento della prestazione fisica. HRV4Training ha rivoluzionato il mondo della rilevazione e gestione del dato HRV, trovando largo impiego tra atleti professionisti come amatori.

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